E’ una di quelle fottute mattine in cui ogni cosa che butti nello stomaco diventa gelida e si blocca nell’intestino. E hai la sensazione precisa, netta, che non sarà affatto una bella giornata. Il caffè che ho preso da due minuti non ha avuto effetto sul rossore dei miei occhi appannati. Il vento fischia sulle finestre. La pioggia batte sulla strada e sulle ringhiere. Un frastuono che tortura la mia testa.
mercoledì 28 luglio 2010
Botte da orbi all'Anas
Allora mi raccomando ragazzi, senza esitazione. Stavolta ci devono dare quello che vogliamo. Mentre parla stringe il pugno e lancia un’occhiata d’intesa agli altri. Poi dà una scrollata alla spalla di quello alto, vicino a lui. Non devi essere teso Boss, gli dice. Vai là dentro e spacca tutto. E l’altro sorride. Ha ragione Vincent, interviene l’unica donna del gruppo mentre si aggiusta con una mano la piega della giacca grigia e con l’altra tortura una collana classica di perle che le organizza tre giri intorno al collo. L’importante è che non siamo remissivi. Ok ok, ragazzi, Vito rassicura tutti mentre stringe nelle mani la sua ventiquattrore di pelle. Tu, Rose, naturalmente vieni con me. Lei annuisce. Voialtri aspettate qui. Oltre a Vincent ci sono altri due tizi. Il primo è stempiato, viso rotondo con occhialini poco vistosi. L’altro, sulla cinquantina, ha capelli lisci tirati in avanti, occhiali rettangolari, doppio mento pronunciato e una discreta pancia. Indossa un abito classico nero e camicia celeste senza cravatta con il primo bottone staccato. Ci devono costruire le strade, aggiunge quest’ultimo. Ci devono dare i soldi. Ci trattano sempre come il buco del culo del mondo. Fate il diavolo a quattro là dentro, se no siamo veramente nella merda. Il Boss si morde un labbro. La donna accanto a lui si mostra sicura. Gli altri due sorridono, mentre l’uomo con l’abito nero si accomoda su una panchina. Tranquilli ragazzi, ci faremo valere. Il Boss cerca ancora di darsi coraggio. Questa volta mi incazzo come una bestia. Non voglio sentire ragioni. Bene, così ti vogliamo, approva di nuovo quello seduto. Adesso andate. I due entrano in un fabbricato lì vicino. Un’insegna con luci a intermittenza dell’Anas campeggia accanto alle finestre del primo piano. Un paio di hostess in mini gonna li accompagnano. Nel frattempo anche gli altri due che erano rimasti fuori in piedi si accomodano sulla panchina nello spiazzo. Dall’interno del fabbricato cominciano a sentirsi le prime urla. E poi i primi rumori. Come di sedie che volano. Ancora urla. E poi forse schiaffi. Parolacce. Cristo santo, se le stanno dando di santa ragione. Il tizio con gli occhiali quadrati si rivolge agli altri due che annuiscono con una smorfia tra il sorpreso e l’incuriosito. Altri dieci minuti di frastuono. Botte, urla, bestemmie. Stavolta Vito sta facendo sul serio; è Vincent a parlare muovendo ritmicamente la mano per esprimere la sua soddisfazione. Stanno uscendo; è l’uomo stempiato ad accorgersene per primo. Si alzano in piedi. Gli altri due barcollano mentre si dirigono verso di loro. Il Boss si tiene la schiena con una mano. La giacca e la camicia sono quasi del tutto strappate. Ha un sacco di escoriazioni in volto. I vestiti della donna stanno messi anche peggio. Lei cammina a stento poggiandosi a Boss. E’ senza una scarpa e le manca una lente degli occhiali ormai completamenti deformati. Ci siete andati giù pesante. E’ Vincent a rompere un silenzio imbarazzato. Il Boss prende un attimo fiato prima di cominciare a parlare con tronfia soddisfazione. Quando ci vuole, ci vuole.
Elementi utili: http://www.basilicatanet.it/basilicatanet/site/Basilicatanet/detail.jsp?sec=1005&otype=1012&id=530092&value=AGR
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