martedì 24 agosto 2010

Ciao a tutti

Ringrazio di cuore chi ha avuto il piacere di seguirmi in queste poche settimane. Ho riflettuto molto e ho deciso di chiudere il blog. Nessuno ne avvertirà la mancanza, ma volevo salutarvi. Motivi personali e stimoli sotto terra. Ormai io e questa Regione non ci apparteniamo più. Non ho più voglia nemmeno di farci satira. Grazie ancora.

domenica 15 agosto 2010

Se ne accorgerebbero anche le tue chiappe flaccide che questa è roba tossica.


Albeggia. Il tizio che manovra la gru si ripara gli occhi dal sole con una mano aperta sulla fronte. Con l’altra muove rapidamente le leve. In basso cinque o sei persone urlano impartendo ordini. Gli autisti dei camion non spengono neppure i motori mentre la gru carica velocemente materiale ferroso. Aspettano dieci minuti un quarto d’ora e poi ripartono velocemente. E’ un mezzo della Renault quello sul quale il manovratore della gru sta caricando il ferro adesso. E’ rinfrescata l’aria, dice l’autista del camion sceso in strada rivolgendosi a uno degli uomini che dirigono le operazioni. E’ presto, risponde l’altro. Vedrai che fra un paio d’ore si muore dal caldo. E’ sempre così qua sul porto. Senti, riprende l’autista del camion. Ma sto cazzo di ferro mica è pericoloso? Perché? Risponde con una domanda l’altro. No niente. E’ solo che mi sembrava strano l’orario. Abbiamo un sacco di ferro da smaltire, per questo abbiamo cominciato a quell’ora. Certo certo. Annuisce l’uomo e si accende una Marlboro. Ne offre una al tizio, ma la rifiuta. Comunque, riprende, mi sembra strano. Che cosa ti sembra strano? Tutta questa fretta del cazzo. La gru ha quasi finito di caricare, vedi di partire. L’autista sogghigna in tono sarcastico. La verità è che a me non frega un cazzo se andiamo a sotterrare questa roba da qualche parte in Basilicata come fate sempre. L’altro non gli risponde. Io mi guardo le spalle. Se questa roba è pericolosa e mi entra nelle palle io ve la faccio pagare. E’ ora di partire, gli ribadisce senza guardarlo l’uomo. Forse non ci siamo capiti, Robocop. L’autista del camion lo afferra per una spalla e lo gira di forza. Voi state tutti con queste tute protettive del cazzo, queste maschere da apicultori e mi vuoi dire che è solo del fottuto ferro? Se ne accorgerebbero anche le tue chiappe flaccide che questa è roba tossica. L’uomo non fa in tempo ad accorgersi di quel che sta succedendo che viene preso di forza da dietro. E’ un omone con pantaloni di pelle nera e uno strano e ingombrante arnese a tracolla a trascinarlo violentemente sotto il molo. Lì comincia a colpirlo in faccia. L’autista del camion sputa sangue e denti. Chi cazzo sei? Chi cazzo sei? Urla piangendo e singhiozzando. Senza rispondere l’uomo continua a colpire e sbattergli la testa sulle pietre. Passano cinque minuti prima che ritorni al camion. Si avvicina a quello con la tuta protettiva. Hai due minuti per trovare un nuovo autista, non abbiamo tempo da perdere. Gli bisbiglia prima di allontanarsi cercando di trattenere il respiro pesante per l'affanno.

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mercoledì 11 agosto 2010

Devo essere impeccabile, soprattutto nella forma


Fatemi capire bene, ragazzi. Poggia i palmi delle mani sulla scrivania e osserva i suoi uomini dello staff. Allora, il giudice ha reintegrato i tre operai della Fiat che erano stati licenziati, giusto? Esatto, risponde uno dei due uomini di fronte a lui, mentre l’altro annuisce con la testa. Bene, allora devo rilasciare una dichiarazione. Per forza, gli fa eco sempre quello di prima. Ma questa è una cosa nazionale. Già, gli fa ancora l’altro mentre quello a fianco continua ininterrottamente ad annuire. Devo essere impeccabile, soprattutto nella forma. Stavolta ad annuire sono entrambi gli altri due senza proferire parola. Si alza ed esce dall’ufficio scortato dai tizi del suo staff. Prendono l’ascensore e arrivano nella sala stampa, già strapiena di cronisti con block notes, registratori, macchine fotografiche e un paio di telecamere. Dopo aver dismesso un paio di sorrisi si schiarisce la voce tossendo e assesta due colpetti al microfono con i polpastrelli di indice e medio. Comincia a parlare. La sentenza con la quale il giudice del lavoro di Melfi ha annullato il licenziamento dei tre operai dello stabilimento Sata di Melfi, ordinandone l’immediato reintegro nel posto di lavoro, se da un lato rende giustizia agli interessati, accusati a torto di aver interrotto il processo produttivo all’interno della fabbrica lucana, dall’altro pone le condizioni per riannodare i fili di un dialogo interrotto tra i vertici aziendali e una parte del sindacato di Basilicata. Si guarda intorno e prosegue. La decisione del giudice mi solleva dal punto di vista personale, prima ancora che istituzionale dall’intima angoscia che sempre procura la perdita anche di un solo posto di lavoro. Tanto più se ad essere interessati, come in questo caso, sono padri di famiglia o giovani che hanno appena deciso di convolare a nozze. Nello stesso tempo però credo che la Regione debba continuare a mantenere la barra dritta, come ha fatto sino ad oggi, nella convinzione che ciascuna delle parti in causa saprà far prevalere il senso di responsabilità per il bene comune dei lucani. Finisce il suo discorso quando su un monitor acceso nella stanza compare il faccione di Nichi Vendola. Gli chiedono degli operai reintegrati a Melfi. E lui risponde. La decisione del Tribunale di Melfi di reintegrare i tre operai ingiustamente licenziati dalla Fiat in luglio dimostra, ove mai ce ne fosse stato bisogno, che l'azienda aveva completamente torto e che i licenziamenti avevano carattere esclusivamente repressivo e intimidatorio. Dopo aver ascoltato le brevissime dichiarazioni di Vendola si volta di scatto verso i suoi due uomini e non riesce a nascondere una smorfia di rabbia. Come cazzo fa, bisbiglia a denti stretti, a dire quello che pensa veramente senza usare formule retoriche e con due semplici parole? E lo applaudono pure, gli fa notare quello che era rimasto in silenzio tutto il tempo, sgranando gli occhi in segno di ammirazione.

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martedì 10 agosto 2010

Non le hanno insegnato a bussare prima di entrare?


La notte di San Lorenzo. Dicono che cadono le stelle e qualche coglione esprime un desiderio convinto che si avvererà sul serio. Superstizioni del cazzo. In ogni caso questa volta credo di aver esagerato con il rum. Non ho la lucidità necessaria per un’adeguata autocritica. Mi basta spostare l’asticella della mia autostima verso sinistra quel tanto che basta per rimanere in bilico. Sto improvvisando piroette ed evoluzioni in stazione da qualche ora. Ho viaggiato nell’intercity notturno respirando a pieni polmoni puzza di piedi, sudore e piscio. Ho schifato tutto e sono stato schifato da tutti. Mi hanno lasciato solo nel mio scompartimento anche quelli che avevano i loro posti del cazzo prenotati. Non li biasimo, ma fossi stato più sobrio li avrei presi a calci nelle palle e ce li avrei fatti accomodare di peso sulle loro fottute poltrone sporche di sperma e piscio rappresi. Una signora nello scompartimento a fianco si è lamentata tutto il tempo con un tizio. Treni dell’ottocento e vergogna. Gli unici due concetti che sono riuscito a capire. E poi ha parlato di miliardi che la Regione dà a questi bastardi che gestiscono le ferrovie. Credo ragionasse ancora in lire. Ma la sostanza non cambia di una fottuta virgola. Il controllore ha minacciato di fermare il treno e chiamare la polizia se non gli avessi mostrato il biglietto. Ho tirato fuori dalla tasca dei jeans cinquanta euro e glieli ho dati. Le auguro buon viaggio, mi ha detto lo stronzo. Per un attimo ho pensato che si sarebbe fatto qualche scrupolo. Non se l’è fatto. Quando sono sceso dal treno sono entrato direttamente nel cesso e ho cominciato a vomitare e pisciare a terra. E’ passata qualche ora. Anche l’alba. E sento un gran fracasso nell’androne principale. Telecamere, fotografi, gente che fa domande. E una donna che risponde alle domande. Dice che qualcuno deve assumersi le sue responsabilità. Che devono rispettare i patti. Che loro hanno già fatto fioccare le multe. Che hanno investito milioni di euro per i nuovi treni e nessuno li compra. La sento blaterare e mi rialzo in piedi barcollando per pisciare ancora una volta con la mia bottiglia di Captain Morgan nella mano sinistra. Non ce la faccio ad arrivare al cesso. Piscio direttamente a terra con gli occhi chiusi e la testa all’indietro. Si apre la porta di scatto. Mi volto e vedo questa signora con gli occhiali e i capelli biondi. Resta a bocca aperta. Vaffanculo, le urlo. Vaffanculo. Non le hanno insegnato a bussare prima di entrare? C’è un uomo che sta cercando di pisciare in santa pace qui dentro.

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lunedì 9 agosto 2010

E' tutto a posto. I depuratori funzionano che è una meraviglia


Oh, carissimo. Gli sorride con gli occhi e allarga le braccia dalla sua scrivania quando lo vede poggiarsi con una mano alla porta d’entrata del suo ufficio. Entra, entra pure. Stavo proprio ora leggendo le carte. L’altro annuisce leggermente con il capo e si disegna in viso un sorriso di circostanza. Ma vieni, accomodati. Gli indica la sedia di pelle girevole. Sì, sussurra l’uomo con le maniche di camicia rivoltate fin sopra il gomito e almeno tre bottoni staccati sul petto. Bene; riprende quello in giacca beige, camicia viola sbiadito e cravatta a strisce oblique marroni e celesti; come ti dicevo ho letto le carte. Possiamo andare tutti in vacanza più tranquilli. L’uomo di fronte abbozza un mezzo sorriso. E’ tutto a posto con i depuratori, quindi? Sì, tutto a posto. Gli risponde balbettando l’altro dopo aver ingoiato un filo di saliva muovendo nervosamente il pomo d’adamo. Avete controllato le acque e sono pulite, vero? Questa volta ottiene in risposta un breve cenno di assenso con il capo. Benissimo. Già erano partiti i soliti allarmismi dei nostri detrattori. Questo posto è pieno di detrattori, lo sai? L’altro conferma con lo sguardo mentre stringe i braccioli della sedia. Non cresceremo mai continuando così. Sai qual è la verità? Questa gente non lo vuole il progresso. Ma la civiltà contadina è morta da un pezzo, mio caro. Se non stiamo al passo con i tempi facciamo la fine della Grecia. Ognuno deve far fruttare le proprie risorse e noi siamo invidiati per il gas, il petrolio e tutto il resto. Per metterci i bastoni tra le ruote ogni tanto tirano fuori la storia dell’inquinamento, dei tumori, delle acque zozze. Balle. Non c’è uno straccio di prova scientifica. Solo illazioni. E comunque la vostra relazione parla chiaro. I depuratori funzionano che è una meraviglia. E’ tutto a posto. Sì, bisbiglia l’altro. Benissimo, prosegue senza smettere di sorridere e gli allunga un braccio per dargli la mano. Ci siete stati di grandissimo aiuto. Ti saluto mio caro. L’uomo con le maniche di camicia riavvolte sul braccio risponde al saluto e fa per uscire. Sulla porta lo aspetta un tizio con pantaloni e gilet di pelle. Quello che è rimasto nella stanza sorride ancora e urla. Grazie Frank, puoi riaccompagnare il signore alla sua auto? Con piacere, risponde Kinski, lanciando una terribile occhiata di intesa al giovane che ha già preso sottobraccio.

venerdì 6 agosto 2010

Ti presento Frank


A chi cazzo ci affidiamo questa volta? Sbatte il telefonino sul tavolo dopo aver chiuso la conversazione e guarda rabbioso verso la finestra. Ma che ti hanno detto? Gli chiede l’altro, in piedi, davanti a lui. Che stiamo esagerando con questi pozzi di petrolio. La gente è incazzata ed è pronta a bloccare tutto. Quello in piedi si morde il labbro. Cristo, Cristo, Cristo, ripete ancora incazzato il primo. Cristo. Non è possibile che per governare dobbiamo ogni volta discutere con tutti. Ma che cazzo vuole la gente? Continua a imprecare. Vogliono lavoro, soldi, tranquillità e pure l’aria pulita. Cosa cazzo pensano di stare in Svizzera? Stai calmo. Calmo un cazzo, mio caro. Si alza in piedi allargando il nodo della cravatta blu in tinta unita. Stavolta non tratto con nessuno, riprende a urlare. Wwf, ambientalisti, associazioni, sindaci. Devono andarsene tutti al mare. Qui comando io e si fa come dico io. Ok ok, l’altro gli si avvicina e gli poggia una mano sulla spalla. Ora però devi calmarti. La risolviamo la questione, ma tu non devi fare il battitore libero. Lo sai come funziona, non sei un pivellino. Il lavoro sporco lo facciamo fare a qualcun altro. E a chi lo facciamo fare il lavoro sporco? Se non ci muoviamo se li vendono direttamente da Roma i pozzi maledetti. Tempo dieci anni e restiamo in mutande. Non ci danno un euro per le strade, ci chiudono gli ospedali e si prendono i pozzi. Ti ho detto di calmarti, riprende il suo amico lanciandogli un sorrisetto ironico. Ti devo presentare una persona. A meno che non sia il Padre Eterno sceso in terra non voglio vedere nessuno. Si volta di spalle. Nel frattempo la porta si apre, mentre l’altro continua a sorridere di gusto. E’ un tizio altissimo, lunghi capelli neri, viso rugoso e mento largo quello che si presenta camminando lentamente nella stanza. Pantaloni di pelle nera, come il gilet indossato direttamente sul petto nudo. Quello incazzato si volta sorpreso e resta incantato. L’altro continua a lanciare sorrisetti compiaciuti. L’uomo con i capelli lunghi si accomoda su una poltroncina dello studio e si toglie dalla schiena un’enorme custodia cromata fissata con una larghissima fascia di caucciù per poter stare comodamente a tracolla. Poggia l’arnese sul tavolo. E’ pesantissimo. Apre la custodia e tira fuori un gigantesco arnese d’acciaio con una spirale che finisce a punta. Allarga le gambe e si sbraca sulla poltrona tenendo lo sguardo fisso sul pavimento. E questo chi è? Frank Kinski, signore; sillaba raucamente il tizio senza aspettare di essere presentato; il Trivellatore.


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giovedì 5 agosto 2010

Uomini e tope da catasto


E’ seduto sulla sua poltrona con il telecomando in mano. Muove ritmicamente le gambe fino a procurarsi una discreta erezione. Continua a cambiare canale meccanicamente, ma non osserva il video. Guarda invece il culo della ragazza che sta lavando i piatti in cucina. Poi si volta verso il corridoio. Da dove provengono rumori di pettini, spille e mascara presi e poggiati sul lavandino. Rocco, prendo la tua macchina stamattina visto che sei a casa. E’ la donna in bagno. Va bene, sibila lui mentre continua nel suo esercizio. Passano appena due minuti e la sente mentre tortura il pavimento con i suoi tacchi. Sbircia di lato e la vede uscire. Si alza di scatto dalla poltrona e corre verso la cucina. Abbraccia da dietro la ragazza e comincia a sbavarle sul collo. Lei sorride divertita. Andiamo, le dice. Devo finire lavare piatti, Rocco. E ride. Ma chi se ne fotte dei piatti. Le palpa i seni. Lei si divincola per gioco. Alla tv c’è Barbara D’Urso che se la ride con Platinette. Continua a leccarle il collo e ad accarezzarla ovunque da dietro. Dai Rocco, ho sapone su mani. Aspetta. Ma chi se ne fotte del sapone. Che devo aspettare? Platinette adesso si sta incazzando con qualcuno. Rocco invece tira giù i jeans della ragazza e le morde il culo due o tre volte prima di spostarle di lato il perizoma. Da un’altra stanza si sente una specie di lamento. E’ la vecchia, aspetta Rocco. Gli dice. Ma lasciala perdere, la vecchia. Ma poi fa cacca addosso, insiste lei. E la puliamo se si caca nelle mutande, ansima mentre si sbottona i pantaloni. Barbara d’Urso sta propagandando i salotti di Chateau d’Ax. Sei porco, Rocco. Sì, sono porco. Sono un porco maledetto e la prende da dietro. All’improvviso un frastuono dall’esterno fa tremare i vetri della finestra e delle ante sul balcone. Che succede, Rocco? Lui si volta un momento e tende l’orecchio. Poi la rassicura. E’ solo un elicottero, tranquilla. E poi così non sentiamo nemmeno la vecchia.


E’ un venerdì mattina di qualche mese più tardi. Rocco è ancora sulla sua poltrona e sta seguendo il notiziario sportivo prima di cena. Con una mano tiene il telecomando, con l’altra una bottiglietta di crodino che trangugia in due secondi, prima di afferrare una bustina di arachidi tostate che svuota direttamente in bocca. Sta ancora masticando quando sente l’inconfondibile e ritmato suono dei tacchi da dodici provenire dal corridoio. E’ arrivata questa, Rocco. E’ la moglie che gli mostra una lettera dall’entrata del salone. Senza avvicinarsi. Che cos’è? Le chiede con aria annoiata. Dice che a seguito dei controlli con gli elicotteri hanno rivelato delle anomalie nella nostra casa. Che cazzo è sta storia? E’ il catasto, continua lei. Adesso c’è la sanatoria. Bisogna pagare. Ma non abbiamo costruito niente di abusivo. Lei lo guarda e gli lancia un’occhiata obliqua. Qui dice che risulta una certa Larysa Andievska da accatastare. Oh cazzo, risponde lui ingoiando un paio di arachidi senza neppure masticarle.

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martedì 3 agosto 2010

Il calcio a Potenza è una cosa seria. Anzi serissima.


Dove vai amore? Gli chiede con angoscia mentre lui si sistema la borsa di Calvin Klein a tracolla. Devo uscire, non ce la faccio più. Sto soffocando chiuso in casa, le risponde. Ma è rischioso, lo sai. Io non ho nulla da temere, cara. Posso andare a testa alta, e poi stiamo parlando di calcio maledizione. Capisco che a Potenza ci sia una grande passione, ma non è mica una questione di vita o di morte. Stai attento però, la donna si raccomanda mentre lui ha già varcato la soglia e sta chiudendo la porta. Ha percorso appena una decina di metri quando un tizio gli urla dal finestrino di una Smart in transito. Bastardo, sei contento adesso che ci hai fatto fallire? Ma lui non perde il contegno e prosegue la sua passeggiata. Finché un ragazzino gli si avvicina con una smorfia rabbiosa e gli assesta un pestone sul piede prima di scappare. Ancora una volta non si scompone. Si aggiusta un sorriso amaro in viso e riprende a camminare. Questa volta ad avvicinarsi è uno sui trent’anni, alto, magro, con barba incolta e sigaretta ben ferma all’angolo destro della bocca. Lo guarda in faccia e lo colpisce con un ceffone prima di allontanarsi sputando a terra. Lui incassa il colpo, si accomoda gli occhiali e fa finta di niente. All’improvviso vede arrivare un gruppetto di quattro o cinque ragazzi. Questa volta tenta di scappare goffamente, ma viene raggiunto e pestato per una decina di minuti. Il tutto condito con insulti e bestemmie di alto spessore. Gli serve un quarto d’ora per riprendersi. Nessuno lo aiuta, ma riesce a rialzarsi, mentre i passanti lo guardano schifato e gli lanciano insulti. Il frastuono di un camioncino si fa strada tra le viuzze del centro. Si è appena rialzato e sgrana gli occhi. Sul pianale posteriore ci sono alcuni uomini con il viso coperto da passamontagna e mitragliette nelle mani. Gli lanciano addosso imprecazioni di ogni tipo mentre il camion si avvicina. Lui comincia a fuggire in preda al terrore. Scansa le persone nei vicoli ansimando, ma non ha via d’uscita. Si ritrova di fronte alla cattedrale. Ci entra tutto trafelato e si rifugia nella cappella di San Gerardo. Si inginocchia di fronte alla statua in legno che raffigura il santo sul trono e comincia a pregare. Non fa in tempo a farsi il segno della croce. Il santo organizza una smorfia schifata, mentre la statua rotea su sé stessa e volta definitivamente le spalle al malcapitato.



Elementi utili: Il Potenza Calcio è fallito in questa estate a seguito di varie vicissitudini gestionali e giudiziarie che hanno investito la vecchia proprietà. Sono giorni decisivi per la definizione della nuova società che ripartirà dall’Eccellenza.