lunedì 2 agosto 2010

I pomodori di Palazzo San Gervasio


A Palazzo San Gervasio.

Hanno fatto bene a chiudere il centro di accoglienza per gli immigrati, dice una signora al balcone mentre sbatte ritmicamente un manico di scopa sul tappeto. Ah certamente, risponde la dirimpettaia e lancia un sorriso compiaciuto a un paio di carabinieri che succhiano estathè davanti al bar lì sotto. La legge è la legge, riprende ancora la prima signora. Non è che uno è razzista o vuole fare per forza il cattivo, ma se c’è un’ordinanza del Comune bisogna rispettarla. Eh certo, risponde ancora l’altra. Noi le paghiamo le tasse e poi ci vuole un certo decoro. Va bene che vengono a raccogliere i pomodori e lavorano seriamente, ma non è che possiamo prendere le strutture del paese e metterle a disposizione; se vogliono lavorare per l’alloggio se la devono vedere loro. Si lanciano un ultimo sorriso e vanno entrambe a cucinare. I carabinieri sono già nella Punto d’ordinanza e si allontanano dal bar senza troppa fretta.

Nel frattempo a Yako, in Burkina Faso.

Sono le cinque del mattino quando Babukar, un ragazzone di 20 anni, si sveglia e saluta la madre con un bacio in bocca, prima di uscire. Si incammina sulla strada principale che porta alla capitale Ouagadougou. Con un paio di passaggi su vecchie auto e una ventina di chilometri consumati a piedi riesce ad arrivare alla stazione degli autobus verso le dieci di sera. Si addormenta su una vecchia panchina e la mattina dopo alle sei prende l’autobus per Agadez, in Niger. Quarant'otto ore di viaggio. Dopo qualche giorno durante i quali gli rubano i pochi soldi che gli sono rimasti riesce a contrattare un passaggio in camion per la Libia con un grassone che gli ha esplicitamente chiesto favori sessuali in cambio. Babukar ha accettato di praticargli sesso orale, nessuna concessione per quanto riguarda il resto. Affare fatto. Il grassone si rivela più gentile del previsto. Babukar è stato bravo. Lo scarica a Barkat e gli dà anche un po’ di soldi. Ma dopo qualche ora viene fermato dalla polizia locale. I documenti sono spariti in Niger assieme alla sua vecchia borsa. Gli agenti ci vanno giù pesante. Botte tremende. Poi in cella ammassato con almeno un’altra trentina di persone e sfamato con un pezzo di pane durissimo al giorno e mezzo litro d’acqua. Passano un paio di mesi prima che Babukar riesca a scappare assieme ad altri due compagni di sventura. Prendono in ostaggio una guardia e la massacrano di botte, finché non accetta di pagare il viaggio in barca per Lampedusa a tutti. Non prima che tutti, Babukar compreso, gli abbiano violentato a turno moglie e figlie. Sul barcone sono in cinquanta. Due giorni di viaggio in mare e arrivo a Lampedusa. Tutti vivi. Quella che si può considerare una traversata miracolosa. Al centro di accoglienza Babukar ci resta quindici giorni, poi i carabinieri lo trasferiscono a Caltanisetta dove gli danno anche il permesso di soggiorno per un anno. E persino un biglietto per il treno con il quale arrivare a Policoro. E’ sera quando l’africano arriva in stazione e decide di fermarsi a dormire. La mattina dopo con un pullman arriva a Palazzo San Gervasio. Chiede a un tizio in Ape Car un passaggio per il suo campo di pomodori. Sono le otto di mattina quando si presenta al solito posto e intravede da lontano il suo capo. Antonio, lo chiama ad alta voce. Quello si volta e si avvicina. Che cazzo, gli dice. Pensavo fossi morto Babukar, che fine hai fatto? Sono tre mesi che ti aspetto. Adesso non mi servi più, te ne puoi pure tornare a casa. Babukar sconsolato fa per andarsene e impreca ad alta voce. Lo dicevo io che non era una buona idea fare il pendolare.


Elementi utili: http://ilquotidianodellabasilicata.ilsole24ore.com/it/Basilicata/Potenza_Palazzo_extracomunitari_1234.html

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