E’ una di quelle fottute mattine in cui ogni cosa che butti nello stomaco diventa gelida e si blocca nell’intestino. E hai la sensazione precisa, netta, che non sarà affatto una bella giornata. Il caffè che ho preso da due minuti non ha avuto effetto sul rossore dei miei occhi appannati. Il vento fischia sulle finestre. La pioggia batte sulla strada e sulle ringhiere. Un frastuono che tortura la mia testa.
martedì 24 agosto 2010
Ciao a tutti
Ringrazio di cuore chi ha avuto il piacere di seguirmi in queste poche settimane. Ho riflettuto molto e ho deciso di chiudere il blog. Nessuno ne avvertirà la mancanza, ma volevo salutarvi. Motivi personali e stimoli sotto terra. Ormai io e questa Regione non ci apparteniamo più. Non ho più voglia nemmeno di farci satira. Grazie ancora.
domenica 15 agosto 2010
Se ne accorgerebbero anche le tue chiappe flaccide che questa è roba tossica.
Albeggia. Il tizio che manovra la gru si ripara gli occhi dal sole con una mano aperta sulla fronte. Con l’altra muove rapidamente le leve. In basso cinque o sei persone urlano impartendo ordini. Gli autisti dei camion non spengono neppure i motori mentre la gru carica velocemente materiale ferroso. Aspettano dieci minuti un quarto d’ora e poi ripartono velocemente. E’ un mezzo della Renault quello sul quale il manovratore della gru sta caricando il ferro adesso. E’ rinfrescata l’aria, dice l’autista del camion sceso in strada rivolgendosi a uno degli uomini che dirigono le operazioni. E’ presto, risponde l’altro. Vedrai che fra un paio d’ore si muore dal caldo. E’ sempre così qua sul porto. Senti, riprende l’autista del camion. Ma sto cazzo di ferro mica è pericoloso? Perché? Risponde con una domanda l’altro. No niente. E’ solo che mi sembrava strano l’orario. Abbiamo un sacco di ferro da smaltire, per questo abbiamo cominciato a quell’ora. Certo certo. Annuisce l’uomo e si accende una Marlboro. Ne offre una al tizio, ma la rifiuta. Comunque, riprende, mi sembra strano. Che cosa ti sembra strano? Tutta questa fretta del cazzo. La gru ha quasi finito di caricare, vedi di partire. L’autista sogghigna in tono sarcastico. La verità è che a me non frega un cazzo se andiamo a sotterrare questa roba da qualche parte in Basilicata come fate sempre. L’altro non gli risponde. Io mi guardo le spalle. Se questa roba è pericolosa e mi entra nelle palle io ve la faccio pagare. E’ ora di partire, gli ribadisce senza guardarlo l’uomo. Forse non ci siamo capiti, Robocop. L’autista del camion lo afferra per una spalla e lo gira di forza. Voi state tutti con queste tute protettive del cazzo, queste maschere da apicultori e mi vuoi dire che è solo del fottuto ferro? Se ne accorgerebbero anche le tue chiappe flaccide che questa è roba tossica. L’uomo non fa in tempo ad accorgersi di quel che sta succedendo che viene preso di forza da dietro. E’ un omone con pantaloni di pelle nera e uno strano e ingombrante arnese a tracolla a trascinarlo violentemente sotto il molo. Lì comincia a colpirlo in faccia. L’autista del camion sputa sangue e denti. Chi cazzo sei? Chi cazzo sei? Urla piangendo e singhiozzando. Senza rispondere l’uomo continua a colpire e sbattergli la testa sulle pietre. Passano cinque minuti prima che ritorni al camion. Si avvicina a quello con la tuta protettiva. Hai due minuti per trovare un nuovo autista, non abbiamo tempo da perdere. Gli bisbiglia prima di allontanarsi cercando di trattenere il respiro pesante per l'affanno.
Elementi utili: http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/GdM_dallabasilicata_NOTIZIA_01.php?IDNotizia=357727&IDCategoria=12
mercoledì 11 agosto 2010
Devo essere impeccabile, soprattutto nella forma
Fatemi capire bene, ragazzi. Poggia i palmi delle mani sulla scrivania e osserva i suoi uomini dello staff. Allora, il giudice ha reintegrato i tre operai della Fiat che erano stati licenziati, giusto? Esatto, risponde uno dei due uomini di fronte a lui, mentre l’altro annuisce con la testa. Bene, allora devo rilasciare una dichiarazione. Per forza, gli fa eco sempre quello di prima. Ma questa è una cosa nazionale. Già, gli fa ancora l’altro mentre quello a fianco continua ininterrottamente ad annuire. Devo essere impeccabile, soprattutto nella forma. Stavolta ad annuire sono entrambi gli altri due senza proferire parola. Si alza ed esce dall’ufficio scortato dai tizi del suo staff. Prendono l’ascensore e arrivano nella sala stampa, già strapiena di cronisti con block notes, registratori, macchine fotografiche e un paio di telecamere. Dopo aver dismesso un paio di sorrisi si schiarisce la voce tossendo e assesta due colpetti al microfono con i polpastrelli di indice e medio. Comincia a parlare. La sentenza con la quale il giudice del lavoro di Melfi ha annullato il licenziamento dei tre operai dello stabilimento Sata di Melfi, ordinandone l’immediato reintegro nel posto di lavoro, se da un lato rende giustizia agli interessati, accusati a torto di aver interrotto il processo produttivo all’interno della fabbrica lucana, dall’altro pone le condizioni per riannodare i fili di un dialogo interrotto tra i vertici aziendali e una parte del sindacato di Basilicata. Si guarda intorno e prosegue. La decisione del giudice mi solleva dal punto di vista personale, prima ancora che istituzionale dall’intima angoscia che sempre procura la perdita anche di un solo posto di lavoro. Tanto più se ad essere interessati, come in questo caso, sono padri di famiglia o giovani che hanno appena deciso di convolare a nozze. Nello stesso tempo però credo che la Regione debba continuare a mantenere la barra dritta, come ha fatto sino ad oggi, nella convinzione che ciascuna delle parti in causa saprà far prevalere il senso di responsabilità per il bene comune dei lucani. Finisce il suo discorso quando su un monitor acceso nella stanza compare il faccione di Nichi Vendola. Gli chiedono degli operai reintegrati a Melfi. E lui risponde. La decisione del Tribunale di Melfi di reintegrare i tre operai ingiustamente licenziati dalla Fiat in luglio dimostra, ove mai ce ne fosse stato bisogno, che l'azienda aveva completamente torto e che i licenziamenti avevano carattere esclusivamente repressivo e intimidatorio. Dopo aver ascoltato le brevissime dichiarazioni di Vendola si volta di scatto verso i suoi due uomini e non riesce a nascondere una smorfia di rabbia. Come cazzo fa, bisbiglia a denti stretti, a dire quello che pensa veramente senza usare formule retoriche e con due semplici parole? E lo applaudono pure, gli fa notare quello che era rimasto in silenzio tutto il tempo, sgranando gli occhi in segno di ammirazione.
Elementi utili: http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/GdM_dallabasilicata_NOTIZIA_01.php?IDNotizia=357224&IDCategoria=12
martedì 10 agosto 2010
Non le hanno insegnato a bussare prima di entrare?
La notte di San Lorenzo. Dicono che cadono le stelle e qualche coglione esprime un desiderio convinto che si avvererà sul serio. Superstizioni del cazzo. In ogni caso questa volta credo di aver esagerato con il rum. Non ho la lucidità necessaria per un’adeguata autocritica. Mi basta spostare l’asticella della mia autostima verso sinistra quel tanto che basta per rimanere in bilico. Sto improvvisando piroette ed evoluzioni in stazione da qualche ora. Ho viaggiato nell’intercity notturno respirando a pieni polmoni puzza di piedi, sudore e piscio. Ho schifato tutto e sono stato schifato da tutti. Mi hanno lasciato solo nel mio scompartimento anche quelli che avevano i loro posti del cazzo prenotati. Non li biasimo, ma fossi stato più sobrio li avrei presi a calci nelle palle e ce li avrei fatti accomodare di peso sulle loro fottute poltrone sporche di sperma e piscio rappresi. Una signora nello scompartimento a fianco si è lamentata tutto il tempo con un tizio. Treni dell’ottocento e vergogna. Gli unici due concetti che sono riuscito a capire. E poi ha parlato di miliardi che la Regione dà a questi bastardi che gestiscono le ferrovie. Credo ragionasse ancora in lire. Ma la sostanza non cambia di una fottuta virgola. Il controllore ha minacciato di fermare il treno e chiamare la polizia se non gli avessi mostrato il biglietto. Ho tirato fuori dalla tasca dei jeans cinquanta euro e glieli ho dati. Le auguro buon viaggio, mi ha detto lo stronzo. Per un attimo ho pensato che si sarebbe fatto qualche scrupolo. Non se l’è fatto. Quando sono sceso dal treno sono entrato direttamente nel cesso e ho cominciato a vomitare e pisciare a terra. E’ passata qualche ora. Anche l’alba. E sento un gran fracasso nell’androne principale. Telecamere, fotografi, gente che fa domande. E una donna che risponde alle domande. Dice che qualcuno deve assumersi le sue responsabilità. Che devono rispettare i patti. Che loro hanno già fatto fioccare le multe. Che hanno investito milioni di euro per i nuovi treni e nessuno li compra. La sento blaterare e mi rialzo in piedi barcollando per pisciare ancora una volta con la mia bottiglia di Captain Morgan nella mano sinistra. Non ce la faccio ad arrivare al cesso. Piscio direttamente a terra con gli occhi chiusi e la testa all’indietro. Si apre la porta di scatto. Mi volto e vedo questa signora con gli occhiali e i capelli biondi. Resta a bocca aperta. Vaffanculo, le urlo. Vaffanculo. Non le hanno insegnato a bussare prima di entrare? C’è un uomo che sta cercando di pisciare in santa pace qui dentro.
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lunedì 9 agosto 2010
E' tutto a posto. I depuratori funzionano che è una meraviglia
Oh, carissimo. Gli sorride con gli occhi e allarga le braccia dalla sua scrivania quando lo vede poggiarsi con una mano alla porta d’entrata del suo ufficio. Entra, entra pure. Stavo proprio ora leggendo le carte. L’altro annuisce leggermente con il capo e si disegna in viso un sorriso di circostanza. Ma vieni, accomodati. Gli indica la sedia di pelle girevole. Sì, sussurra l’uomo con le maniche di camicia rivoltate fin sopra il gomito e almeno tre bottoni staccati sul petto. Bene; riprende quello in giacca beige, camicia viola sbiadito e cravatta a strisce oblique marroni e celesti; come ti dicevo ho letto le carte. Possiamo andare tutti in vacanza più tranquilli. L’uomo di fronte abbozza un mezzo sorriso. E’ tutto a posto con i depuratori, quindi? Sì, tutto a posto. Gli risponde balbettando l’altro dopo aver ingoiato un filo di saliva muovendo nervosamente il pomo d’adamo. Avete controllato le acque e sono pulite, vero? Questa volta ottiene in risposta un breve cenno di assenso con il capo. Benissimo. Già erano partiti i soliti allarmismi dei nostri detrattori. Questo posto è pieno di detrattori, lo sai? L’altro conferma con lo sguardo mentre stringe i braccioli della sedia. Non cresceremo mai continuando così. Sai qual è la verità? Questa gente non lo vuole il progresso. Ma la civiltà contadina è morta da un pezzo, mio caro. Se non stiamo al passo con i tempi facciamo la fine della Grecia. Ognuno deve far fruttare le proprie risorse e noi siamo invidiati per il gas, il petrolio e tutto il resto. Per metterci i bastoni tra le ruote ogni tanto tirano fuori la storia dell’inquinamento, dei tumori, delle acque zozze. Balle. Non c’è uno straccio di prova scientifica. Solo illazioni. E comunque la vostra relazione parla chiaro. I depuratori funzionano che è una meraviglia. E’ tutto a posto. Sì, bisbiglia l’altro. Benissimo, prosegue senza smettere di sorridere e gli allunga un braccio per dargli la mano. Ci siete stati di grandissimo aiuto. Ti saluto mio caro. L’uomo con le maniche di camicia riavvolte sul braccio risponde al saluto e fa per uscire. Sulla porta lo aspetta un tizio con pantaloni e gilet di pelle. Quello che è rimasto nella stanza sorride ancora e urla. Grazie Frank, puoi riaccompagnare il signore alla sua auto? Con piacere, risponde Kinski, lanciando una terribile occhiata di intesa al giovane che ha già preso sottobraccio.
venerdì 6 agosto 2010
Ti presento Frank
A chi cazzo ci affidiamo questa volta? Sbatte il telefonino sul tavolo dopo aver chiuso la conversazione e guarda rabbioso verso la finestra. Ma che ti hanno detto? Gli chiede l’altro, in piedi, davanti a lui. Che stiamo esagerando con questi pozzi di petrolio. La gente è incazzata ed è pronta a bloccare tutto. Quello in piedi si morde il labbro. Cristo, Cristo, Cristo, ripete ancora incazzato il primo. Cristo. Non è possibile che per governare dobbiamo ogni volta discutere con tutti. Ma che cazzo vuole la gente? Continua a imprecare. Vogliono lavoro, soldi, tranquillità e pure l’aria pulita. Cosa cazzo pensano di stare in Svizzera? Stai calmo. Calmo un cazzo, mio caro. Si alza in piedi allargando il nodo della cravatta blu in tinta unita. Stavolta non tratto con nessuno, riprende a urlare. Wwf, ambientalisti, associazioni, sindaci. Devono andarsene tutti al mare. Qui comando io e si fa come dico io. Ok ok, l’altro gli si avvicina e gli poggia una mano sulla spalla. Ora però devi calmarti. La risolviamo la questione, ma tu non devi fare il battitore libero. Lo sai come funziona, non sei un pivellino. Il lavoro sporco lo facciamo fare a qualcun altro. E a chi lo facciamo fare il lavoro sporco? Se non ci muoviamo se li vendono direttamente da Roma i pozzi maledetti. Tempo dieci anni e restiamo in mutande. Non ci danno un euro per le strade, ci chiudono gli ospedali e si prendono i pozzi. Ti ho detto di calmarti, riprende il suo amico lanciandogli un sorrisetto ironico. Ti devo presentare una persona. A meno che non sia il Padre Eterno sceso in terra non voglio vedere nessuno. Si volta di spalle. Nel frattempo la porta si apre, mentre l’altro continua a sorridere di gusto. E’ un tizio altissimo, lunghi capelli neri, viso rugoso e mento largo quello che si presenta camminando lentamente nella stanza. Pantaloni di pelle nera, come il gilet indossato direttamente sul petto nudo. Quello incazzato si volta sorpreso e resta incantato. L’altro continua a lanciare sorrisetti compiaciuti. L’uomo con i capelli lunghi si accomoda su una poltroncina dello studio e si toglie dalla schiena un’enorme custodia cromata fissata con una larghissima fascia di caucciù per poter stare comodamente a tracolla. Poggia l’arnese sul tavolo. E’ pesantissimo. Apre la custodia e tira fuori un gigantesco arnese d’acciaio con una spirale che finisce a punta. Allarga le gambe e si sbraca sulla poltrona tenendo lo sguardo fisso sul pavimento. E questo chi è? Frank Kinski, signore; sillaba raucamente il tizio senza aspettare di essere presentato; il Trivellatore.
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giovedì 5 agosto 2010
Uomini e tope da catasto
E’ seduto sulla sua poltrona con il telecomando in mano. Muove ritmicamente le gambe fino a procurarsi una discreta erezione. Continua a cambiare canale meccanicamente, ma non osserva il video. Guarda invece il culo della ragazza che sta lavando i piatti in cucina. Poi si volta verso il corridoio. Da dove provengono rumori di pettini, spille e mascara presi e poggiati sul lavandino. Rocco, prendo la tua macchina stamattina visto che sei a casa. E’ la donna in bagno. Va bene, sibila lui mentre continua nel suo esercizio. Passano appena due minuti e la sente mentre tortura il pavimento con i suoi tacchi. Sbircia di lato e la vede uscire. Si alza di scatto dalla poltrona e corre verso la cucina. Abbraccia da dietro la ragazza e comincia a sbavarle sul collo. Lei sorride divertita. Andiamo, le dice. Devo finire lavare piatti, Rocco. E ride. Ma chi se ne fotte dei piatti. Le palpa i seni. Lei si divincola per gioco. Alla tv c’è Barbara D’Urso che se la ride con Platinette. Continua a leccarle il collo e ad accarezzarla ovunque da dietro. Dai Rocco, ho sapone su mani. Aspetta. Ma chi se ne fotte del sapone. Che devo aspettare? Platinette adesso si sta incazzando con qualcuno. Rocco invece tira giù i jeans della ragazza e le morde il culo due o tre volte prima di spostarle di lato il perizoma. Da un’altra stanza si sente una specie di lamento. E’ la vecchia, aspetta Rocco. Gli dice. Ma lasciala perdere, la vecchia. Ma poi fa cacca addosso, insiste lei. E la puliamo se si caca nelle mutande, ansima mentre si sbottona i pantaloni. Barbara d’Urso sta propagandando i salotti di Chateau d’Ax. Sei porco, Rocco. Sì, sono porco. Sono un porco maledetto e la prende da dietro. All’improvviso un frastuono dall’esterno fa tremare i vetri della finestra e delle ante sul balcone. Che succede, Rocco? Lui si volta un momento e tende l’orecchio. Poi la rassicura. E’ solo un elicottero, tranquilla. E poi così non sentiamo nemmeno la vecchia.
E’ un venerdì mattina di qualche mese più tardi. Rocco è ancora sulla sua poltrona e sta seguendo il notiziario sportivo prima di cena. Con una mano tiene il telecomando, con l’altra una bottiglietta di crodino che trangugia in due secondi, prima di afferrare una bustina di arachidi tostate che svuota direttamente in bocca. Sta ancora masticando quando sente l’inconfondibile e ritmato suono dei tacchi da dodici provenire dal corridoio. E’ arrivata questa, Rocco. E’ la moglie che gli mostra una lettera dall’entrata del salone. Senza avvicinarsi. Che cos’è? Le chiede con aria annoiata. Dice che a seguito dei controlli con gli elicotteri hanno rivelato delle anomalie nella nostra casa. Che cazzo è sta storia? E’ il catasto, continua lei. Adesso c’è la sanatoria. Bisogna pagare. Ma non abbiamo costruito niente di abusivo. Lei lo guarda e gli lancia un’occhiata obliqua. Qui dice che risulta una certa Larysa Andievska da accatastare. Oh cazzo, risponde lui ingoiando un paio di arachidi senza neppure masticarle.
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martedì 3 agosto 2010
Il calcio a Potenza è una cosa seria. Anzi serissima.
Dove vai amore? Gli chiede con angoscia mentre lui si sistema la borsa di Calvin Klein a tracolla. Devo uscire, non ce la faccio più. Sto soffocando chiuso in casa, le risponde. Ma è rischioso, lo sai. Io non ho nulla da temere, cara. Posso andare a testa alta, e poi stiamo parlando di calcio maledizione. Capisco che a Potenza ci sia una grande passione, ma non è mica una questione di vita o di morte. Stai attento però, la donna si raccomanda mentre lui ha già varcato la soglia e sta chiudendo la porta. Ha percorso appena una decina di metri quando un tizio gli urla dal finestrino di una Smart in transito. Bastardo, sei contento adesso che ci hai fatto fallire? Ma lui non perde il contegno e prosegue la sua passeggiata. Finché un ragazzino gli si avvicina con una smorfia rabbiosa e gli assesta un pestone sul piede prima di scappare. Ancora una volta non si scompone. Si aggiusta un sorriso amaro in viso e riprende a camminare. Questa volta ad avvicinarsi è uno sui trent’anni, alto, magro, con barba incolta e sigaretta ben ferma all’angolo destro della bocca. Lo guarda in faccia e lo colpisce con un ceffone prima di allontanarsi sputando a terra. Lui incassa il colpo, si accomoda gli occhiali e fa finta di niente. All’improvviso vede arrivare un gruppetto di quattro o cinque ragazzi. Questa volta tenta di scappare goffamente, ma viene raggiunto e pestato per una decina di minuti. Il tutto condito con insulti e bestemmie di alto spessore. Gli serve un quarto d’ora per riprendersi. Nessuno lo aiuta, ma riesce a rialzarsi, mentre i passanti lo guardano schifato e gli lanciano insulti. Il frastuono di un camioncino si fa strada tra le viuzze del centro. Si è appena rialzato e sgrana gli occhi. Sul pianale posteriore ci sono alcuni uomini con il viso coperto da passamontagna e mitragliette nelle mani. Gli lanciano addosso imprecazioni di ogni tipo mentre il camion si avvicina. Lui comincia a fuggire in preda al terrore. Scansa le persone nei vicoli ansimando, ma non ha via d’uscita. Si ritrova di fronte alla cattedrale. Ci entra tutto trafelato e si rifugia nella cappella di San Gerardo. Si inginocchia di fronte alla statua in legno che raffigura il santo sul trono e comincia a pregare. Non fa in tempo a farsi il segno della croce. Il santo organizza una smorfia schifata, mentre la statua rotea su sé stessa e volta definitivamente le spalle al malcapitato.
Elementi utili: Il Potenza Calcio è fallito in questa estate a seguito di varie vicissitudini gestionali e giudiziarie che hanno investito la vecchia proprietà. Sono giorni decisivi per la definizione della nuova società che ripartirà dall’Eccellenza.
lunedì 2 agosto 2010
I pomodori di Palazzo San Gervasio
A Palazzo San Gervasio.
Hanno fatto bene a chiudere il centro di accoglienza per gli immigrati, dice una signora al balcone mentre sbatte ritmicamente un manico di scopa sul tappeto. Ah certamente, risponde la dirimpettaia e lancia un sorriso compiaciuto a un paio di carabinieri che succhiano estathè davanti al bar lì sotto. La legge è la legge, riprende ancora la prima signora. Non è che uno è razzista o vuole fare per forza il cattivo, ma se c’è un’ordinanza del Comune bisogna rispettarla. Eh certo, risponde ancora l’altra. Noi le paghiamo le tasse e poi ci vuole un certo decoro. Va bene che vengono a raccogliere i pomodori e lavorano seriamente, ma non è che possiamo prendere le strutture del paese e metterle a disposizione; se vogliono lavorare per l’alloggio se la devono vedere loro. Si lanciano un ultimo sorriso e vanno entrambe a cucinare. I carabinieri sono già nella Punto d’ordinanza e si allontanano dal bar senza troppa fretta.
Nel frattempo a Yako, in Burkina Faso.
Sono le cinque del mattino quando Babukar, un ragazzone di 20 anni, si sveglia e saluta la madre con un bacio in bocca, prima di uscire. Si incammina sulla strada principale che porta alla capitale Ouagadougou. Con un paio di passaggi su vecchie auto e una ventina di chilometri consumati a piedi riesce ad arrivare alla stazione degli autobus verso le dieci di sera. Si addormenta su una vecchia panchina e la mattina dopo alle sei prende l’autobus per Agadez, in Niger. Quarant'otto ore di viaggio. Dopo qualche giorno durante i quali gli rubano i pochi soldi che gli sono rimasti riesce a contrattare un passaggio in camion per la Libia con un grassone che gli ha esplicitamente chiesto favori sessuali in cambio. Babukar ha accettato di praticargli sesso orale, nessuna concessione per quanto riguarda il resto. Affare fatto. Il grassone si rivela più gentile del previsto. Babukar è stato bravo. Lo scarica a Barkat e gli dà anche un po’ di soldi. Ma dopo qualche ora viene fermato dalla polizia locale. I documenti sono spariti in Niger assieme alla sua vecchia borsa. Gli agenti ci vanno giù pesante. Botte tremende. Poi in cella ammassato con almeno un’altra trentina di persone e sfamato con un pezzo di pane durissimo al giorno e mezzo litro d’acqua. Passano un paio di mesi prima che Babukar riesca a scappare assieme ad altri due compagni di sventura. Prendono in ostaggio una guardia e la massacrano di botte, finché non accetta di pagare il viaggio in barca per Lampedusa a tutti. Non prima che tutti, Babukar compreso, gli abbiano violentato a turno moglie e figlie. Sul barcone sono in cinquanta. Due giorni di viaggio in mare e arrivo a Lampedusa. Tutti vivi. Quella che si può considerare una traversata miracolosa. Al centro di accoglienza Babukar ci resta quindici giorni, poi i carabinieri lo trasferiscono a Caltanisetta dove gli danno anche il permesso di soggiorno per un anno. E persino un biglietto per il treno con il quale arrivare a Policoro. E’ sera quando l’africano arriva in stazione e decide di fermarsi a dormire. La mattina dopo con un pullman arriva a Palazzo San Gervasio. Chiede a un tizio in Ape Car un passaggio per il suo campo di pomodori. Sono le otto di mattina quando si presenta al solito posto e intravede da lontano il suo capo. Antonio, lo chiama ad alta voce. Quello si volta e si avvicina. Che cazzo, gli dice. Pensavo fossi morto Babukar, che fine hai fatto? Sono tre mesi che ti aspetto. Adesso non mi servi più, te ne puoi pure tornare a casa. Babukar sconsolato fa per andarsene e impreca ad alta voce. Lo dicevo io che non era una buona idea fare il pendolare.
Elementi utili: http://ilquotidianodellabasilicata.ilsole24ore.com/it/Basilicata/Potenza_Palazzo_extracomunitari_1234.html
venerdì 30 luglio 2010
Io sono lucano, abbiamo il bonus per il petrolio noialtri
L'unica fregatura delle Maserati è che non raggiungono quasi mai, se non in condizioni particolarmente favorevoli, la velocità dichiarata dalla casa. Sono a 275 chilometri orari. Dieci in meno di quelli che avrei dovuto agevolmente raggiungere. Di contro sono seduto su una fottuta poltrona in pelle e sembra che mi stia godendo il panorama nel salotto di casa mia. A livello di comfort niente da invidiare ai materassi più comodi del Padre Eterno in persona. Tra l’altro l’alternativa era una Porsche Carrera. Troppo demodè. O per lo meno questa è l’idea che mi sono fatto. Mi sono affidato piuttosto al mio gusto estetico. E questa Gran Turismo è veramente una puttana di primissima classe. Né grassa, né anoressica. Né raffinata, né volgare. Né timida, né invadente. Il mio tipo. Sul sedile a fianco c’è un bottiglia di Captain Morgan. Lo so, l’etichetta è ridicola con quel pirata rincoglionito vestito di rosso che propaganda il suo sorriso da ebete e i baffetti alla D’Artagnan. E il design della bottiglia credo non sia mai cambiato dalla prima volta che hanno messo in commercio questa roba. D’accordo, non sono il più grande intenditore di rum sulla faccia della terra e non ho nessuna dannatissima intenzione di diventarlo. Ma è l’unica sostanza al mondo in grado di farmi stare bene veramente. Sembra assurdo. Ma quando bevo Captain Morgan io sto bene. Sul serio. In condizioni normali mi scolo una bottiglia ogni due giorni. Mi hanno suggerito spesso di assaggiare rum più pregiati di questo decantandomene la qualità. Dicono che esista roba veramente di un’altra categoria. Ma quando trovo qualcosa che mi piace tendo a impigrirmi e a rimanere fedele nei secoli. Tra l’altro non berrei mai del rum che arriva da Cuba. Troppo sputtanato. Potrei al massimo collezionare bottiglie vuote di Havana Club e usarle per decorare le mensole vuote del mio salone. Sto rallentando. Da qualche chilometro la spia della benzina mi suggerisce di fermarmi per fare rifornimento. Ed entro nella prima area di servizio. Un ragazzino smilzo con la tuta dell'Agip si avvicina stancamente e gli apro il finestrino. Il pieno, gli dico. Il pieno? Risponde in tono interrogativo. Sì il pieno, ripeto. E lo vedo che ha già preso la pompa. In un minuto riempie il serbatoio della mia Maserati ed è già di ritorno. Frugo nel cruscotto e tiro fuori una carta magnetica. Gliela porgo. E' la tessera del governo, gli dico. Io sono lucano, abbiamo il bonus per il petrolio noialtri. Il ragazzo resta in silenzio. E' come una carta di credito, aggiungo. Sì sì, risponde lui timidamente. Beh e allora perché stai lì impalato? Ecco signore, balbetta, pensavo che questa fosse la mancia.
Elementi utili: http://ilquotidianodellabasilicata.ilsole24ore.com/it/Basilicata/potenza_benzina_bonus_petrolio_royalties_defilippo_latronico_1033.html
giovedì 29 luglio 2010
E chi cazz'è Sarah Nile?
Carmine è agitato. Lo osservo che è intento a sbirciare tra le schiene dritte di quelli che ci stanno davanti. Tende l’orecchio per ascoltare e mi dedica strani cenni con il viso. Hai sentito, Joe? Mi fa. Stanno imbracando un personaggio famoso per fare il volo dell’angelo. Mi fingo leggermente curioso e domando: davvero? Annuisce con la testa e sorride come un ebete. Vado a vedere. Si sposta in avanti scusandosi in anticipo con tutti per gli strattoni sentiti che assesta con i gomiti e le ginocchia. Nel frattempo io mi guardo intorno e mi godo le dolomiti lucane. Sono pochi minuti di silenzio e pace. Carmine torna tutto trafelato ed eccitato. Si aspetta che gli chieda qualcosa. Non lo faccio. Sicuro del mio interessamento mi vomita addosso il suo scoop. In pratica c’è quella tizia famosa. Ah, gli faccio mentre mi proteggo gli occhi dal sole con una mano in fronte. Sì, Sarah Nile. E chi cazz’è Sarah Nile? Gli chiedo. Come chi è Sarah Nile? Ripete lui sgranando gli occhi. Quella del Grande Fratello. Muovo leggermente la testa e fingo di pensarci su. La playmate, dai che la conosci. Sicuro che la riconosci se la vedi. Forse se la vedo, ripeto dubbioso. Ma che fa questa? Gli domando. Te l’ho detto, il Grande Fratello. Ah, fa il Grande fratello. Sì. Fa i calendari. Che calendari? I calendari sexy. Ah, fa i calendari sexy. Fa pure la pittrice. Ah, fa la pittrice. E’ una modella. Cazzo Joe, come fai a non conoscerla. Boh, gli dico mentre avvicino le labbra e il mento al naso per rafforzare i miei dubbi. C’è una troupe. La stanno riprendendo, continua a dirmi. E’ venuta a Pietrapertosa, ti rendi conto. A fare il volo dell’angelo. La fila non si snellisce e comincia a fare caldo. Carmine è in silenzio da una trentina di secondi quando mi volto di scatto e gli chiedo. Ma questa tizia ha pagato i 40 euro del biglietto?
Elementi utili: http://ilquotidianodellabasilicata.ilsole24ore.com/it/basilicata/potenza_castelmezzano_volo_sarah_1431.html
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/GdM_dallapuglia_NOTIZIA_01.php?IDNotizia=352662&IDCategoria=12
mercoledì 28 luglio 2010
Botte da orbi all'Anas
Allora mi raccomando ragazzi, senza esitazione. Stavolta ci devono dare quello che vogliamo. Mentre parla stringe il pugno e lancia un’occhiata d’intesa agli altri. Poi dà una scrollata alla spalla di quello alto, vicino a lui. Non devi essere teso Boss, gli dice. Vai là dentro e spacca tutto. E l’altro sorride. Ha ragione Vincent, interviene l’unica donna del gruppo mentre si aggiusta con una mano la piega della giacca grigia e con l’altra tortura una collana classica di perle che le organizza tre giri intorno al collo. L’importante è che non siamo remissivi. Ok ok, ragazzi, Vito rassicura tutti mentre stringe nelle mani la sua ventiquattrore di pelle. Tu, Rose, naturalmente vieni con me. Lei annuisce. Voialtri aspettate qui. Oltre a Vincent ci sono altri due tizi. Il primo è stempiato, viso rotondo con occhialini poco vistosi. L’altro, sulla cinquantina, ha capelli lisci tirati in avanti, occhiali rettangolari, doppio mento pronunciato e una discreta pancia. Indossa un abito classico nero e camicia celeste senza cravatta con il primo bottone staccato. Ci devono costruire le strade, aggiunge quest’ultimo. Ci devono dare i soldi. Ci trattano sempre come il buco del culo del mondo. Fate il diavolo a quattro là dentro, se no siamo veramente nella merda. Il Boss si morde un labbro. La donna accanto a lui si mostra sicura. Gli altri due sorridono, mentre l’uomo con l’abito nero si accomoda su una panchina. Tranquilli ragazzi, ci faremo valere. Il Boss cerca ancora di darsi coraggio. Questa volta mi incazzo come una bestia. Non voglio sentire ragioni. Bene, così ti vogliamo, approva di nuovo quello seduto. Adesso andate. I due entrano in un fabbricato lì vicino. Un’insegna con luci a intermittenza dell’Anas campeggia accanto alle finestre del primo piano. Un paio di hostess in mini gonna li accompagnano. Nel frattempo anche gli altri due che erano rimasti fuori in piedi si accomodano sulla panchina nello spiazzo. Dall’interno del fabbricato cominciano a sentirsi le prime urla. E poi i primi rumori. Come di sedie che volano. Ancora urla. E poi forse schiaffi. Parolacce. Cristo santo, se le stanno dando di santa ragione. Il tizio con gli occhiali quadrati si rivolge agli altri due che annuiscono con una smorfia tra il sorpreso e l’incuriosito. Altri dieci minuti di frastuono. Botte, urla, bestemmie. Stavolta Vito sta facendo sul serio; è Vincent a parlare muovendo ritmicamente la mano per esprimere la sua soddisfazione. Stanno uscendo; è l’uomo stempiato ad accorgersene per primo. Si alzano in piedi. Gli altri due barcollano mentre si dirigono verso di loro. Il Boss si tiene la schiena con una mano. La giacca e la camicia sono quasi del tutto strappate. Ha un sacco di escoriazioni in volto. I vestiti della donna stanno messi anche peggio. Lei cammina a stento poggiandosi a Boss. E’ senza una scarpa e le manca una lente degli occhiali ormai completamenti deformati. Ci siete andati giù pesante. E’ Vincent a rompere un silenzio imbarazzato. Il Boss prende un attimo fiato prima di cominciare a parlare con tronfia soddisfazione. Quando ci vuole, ci vuole.
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Quelle fottute alghe
Tiro fuori dal cofano della macchina la mia nuova canna da pesca. E’ in carbonio? Mi domanda Carmine. Certo che è in carbonio, gli rispondo senza guardarlo; le Shimano ormai sono tutte in carbonio. Quanto cazzo l’hai pagata? E’ la più costosa, continuo mentre tiro fuori con cautela il resto degli arnesi. Fammela vedere. Gliela porgo con riluttanza mentre sbatto il cofano della mia Golf e chiudo gli sportelli con il telecomando. Questa è veramente un’opera d’arte, Joe. Carmine sgrana gli occhi rigirandosela tra le mani. Stai attento. Mi incammino verso la riva del lago. Tranquillo, tranquillo, mi risponde. Non te lo rompo il tuo gioiellino nuovo. Mi accompagna organizzando un paio di battute condite con la sua ritmica risata isterica. Abbozzo un mezzo sorriso ogni volta, poi mi fermo al solito posto per sistemare la canna da pesca. Mi ripassa la canna e si stiracchia le braccia osservando il lago. Certo che il Pertusillo sembra veramente un pezzo d’Irlanda. O no? E mi fa una smorfia con gli occhi. Già, gli rispondo mentre tiro fuori le esche da un secchio. Si toglie le scarpe e i calzini. Vado a bagnarmi i piedi mentre sistemi la tua nuova bambina. Faccio appena un cenno con la testa. Cazzo, Joe. E’ Carmine che grida per attirare l'attenzione. Vieni a vedere una cosa. Che c’è? Gli domando. Vieni a vedere. Che cazzo, sto sistemando la canna da pesca, dimmi che c’è. Devi venire a vedere, insiste. Dannazione, ma che cosa devo vedere? Joe, se ti dico che devi venire a vedere, significa che devi venire a vedere. Respiro a pieni polmoni prima di sbuffare talmente forte che l’aria sposta un paio di minuscoli rametti stesi sulle pietre. Poggio la canna a terra e lo raggiungo. Carmine mi fa cenno con una mano e indica l’acqua. Guarda quanti pesci morti. E senti che puzza. Cristo santo hai ragione, gli dico. E il colore dell’acqua, guarda, sembra merda. Mi piego mentre Carmine continua a farmi notare altri particolari. Che cazzo sono quelle piante? Mi domanda mentre sposto delle enormi foglie verdi molto simili alle ortiche. Non ne ho idea, gli dico. Ho paura che non potrai battezzare la tua nuova canna da pesca oggi. Questa volta non gli rispondo. Comunque sono alghe, continua. Quelle sono delle schifosissime alghe. Mi alzo in piedi e mi guardo intorno. Altri pesci morti e l'acqua fa schifo. Mi sa che oggi si torna a casa a mani vuote, dico mentre sposto con i piedi un paio di pesci. Con questo petrolio del cazzo stanno rovinando tutto. Carmine mi guarda dubbioso. Secondo me non c'entra niente il petrolio, sono quelle alghe. Non mi piacciono proprio, sicuramente sono velenose. Qualche discarica abusiva, riprendo a parlare. Sicuro, è pieno di discariche abusive. Stammi a sentire Joe; Carmine mi rincorre dopo aver recuperato scarpe e calzini mentre io mi avvio verso gli attrezzi. Non c'entrano nemmeno le fottute discariche abusive. Sono quelle alghe schifose. Sono tossiche. Nel frattempo prendo la roba e mi avvio verso la macchina. O qualcuno ha pensato di risparmiare su un depuratore vecchio e malfunzionante, riprendo a parlare. Tanto la roba finisce nel lago e non se ne accorge nessuno. No no no no, Joe. Carmine muove la testa ritmicamente mentre si rimette le scarpe. Sono quelle alghe del cazzo. Hanno avvelenato l'acqua. Ci sono delle fabbriche qui vicino? Chiedo a Carmine. Non lo so, ma non spremerti le meningi. Uno scarico di sostanze tossiche, continuo a pensare ad alta voce. Tu non vuoi ascoltarmi, interviene ancora Carmine. Sono state le alghe ad ammazzare quei pesci. Mi volto di scatto, spingo Carmine con le mani e lo faccio cadere di peso a terra. Hai rotto le palle con questa stupida fissazione delle alghe. Basta. Lui si rialza e apre il portello della macchina. Si siede per primo e farfuglia a mezza voce. Tanto sono state le alghe ad ammazzare quei pesci.
Elementi utili: http://www.olambientalista.it/index.php/inquinamento-pertusillo-no-oil/
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